Il primo insediamento fortificato di Rivalta si sviluppa in una zona privilegiata, caratterizzata dall’alta riva (295 m s.l.m.) da cui deriverà la sua denominazione e in posizione di controllo su importanti reti viarie in uscita da Torino e già note in epoca romana. Tale localizzazione, che permette inoltre il controllo sull’imbocco della Val Sangone, sulla strada verso Piossasco e il Pinerolese, nonché su diramazioni della via Francigena in direzione di Rivoli, favorisce il formarsi, fin dall’XI secolo, di centri di potere politico e religioso, rappresentati dal Monastero e dal Castello, intorno al quale si svilupperà progressivamente l’abitato. Anche il complesso del Monastero, localizzato appena al di fuori delle mura, costituisce un importante elemento di valenza storico culturale: la notevole importanza che Rivalta di Torino assume in età medievale si gioca infatti proprio attorno ai poli Castello-Abbazia, all’interno della quale recenti scavi archeologici hanno evidenziato i resti della primitiva chiesa abbaziale, le cui prime fasi risalgono almeno all’X-XI secolo.
L’aspetto attuale del Castello, pur mantenendo alcuni tratti tipicamente medievali, è il frutto delle molte trasformazioni subite dall’edificio nel corso della sua lunga vita: le prime testimonianze documentarie del “castrum” di Rivalta risalgono infatti al 1062, ed è probabile che in questa prima fase il complesso si articolasse intorno ad uno o più torrioni con funzione sia abitativa che difensiva, dislocati nei settori strategici dell’arroccamento castellare.
Di pari passo con il consolidarsi del potere dei Signori di Rivalta, il complesso viene dotato di una possente cinta muraria e si arricchisce di nuovi edifici, testimoniando così la sua affermazione come centro amministrativo, sostenuto da un adeguato apparato residenziale.
E’ con questa forma, assunta probabilmente tra XII e XIV secolo, che il castello si presenta oggi al visitatore, circondato da alte mura realizzate in ciottoli di fiume disposti a “spina di pesce” e difese di un ampio fossato. Un ponticello, non originale, consente l’attraversamento e immette nella torre che protegge l’ingresso principale, dove campeggia lo stemma della famiglia Orsini. Già l’osservazione esterna consente di percepire i rifacimenti che hanno interessato nei secoli la cinta muraria, provvista in origine di un camminamento di ronda per i soldati: le mura, forse coronate da merlatura, sono state rialzate a perimetrare gli edifici sul settore occidentale, mentre ad est si è aggiunta una graziosa balaustrata, di gusto ottocentesco come la meridiana della torre. L’interno della corte mostra un’affascinante commistione tra gli elementi medievali autentici e quelle aggiunte, settecentesche prima e neogotiche poi, che hanno contribuito nel tempo a conferire all’insieme l’aspetto della villa di campagna: piccoli loggiati, finestre ad arco e la torre con bertesche aggettanti testimoniano della moda del tempo del Brayda e del D’Andrade. Fiancheggiando il lato orientale delle mura si osservano le tracce di edifici addossati e ora demoliti: si tratta probabilmente di ambienti funzionali (magazzini stalle, granai), utilizzati sia dai castellani che dagli abitanti del borgo, che potevano trovare qui protezione in caso di pericolo: un’ulteriore sbocco si apriva anche sull’attuale via Bianca della Valle, in corrispondenza di una piccola torre-porta munita di ponte levatoio.
Proseguendo verso sud. superati i locali delle serre, anch’essi di epoca moderna, si arriva in prossimità del torrione rettangolare, che rappresenta sicuramente la parte più antica del castello, precedente alla stessa cinta muraria. La sua struttura rispecchia le caratteristiche tipiche del “mastio” o “dongione”, posto normalmente in posizione dominante rispetto agli altri edifici del castello. Autonomo e indipendente, presentava in genere spessi muri perimetrali ed era dotato di un ingresso posto al secondo piano, accessibile mediante una scala lignea amovibile; nelle forme più antiche era suddiviso internamente da assiti lignei collegati da scale a pioli e gli spazi erano destinati prevalentemente ad ospitare le guarnigioni. Nonostante la prima menzione del Castello sia del 1062, gli elementi costruttivi del torrione orienterebbero verso una datazione leggermente più tarda: la tessitura muraria presenta infatti piani di posa regolari, realizzati prevalentemente in ciottoli di fiume posati a “spina di pesce”, con fasce marcapiano e decorazioni in cotto, secondo una tecnica costruttiva che si afferma meglio intorno al XII secolo.. Nato forse con funzioni prevalentemente difensive, con asse maggiore est-ovest, in osservazione della strada verso Piossasco e verso la val Sangone, presenta ora caratteri più marcatamente residenziali, prevalsi probabilmente nel momento in cui gli furono addossate le mura e nella parte inferiore ricavata una elegante cappella, con volte gotiche nervate raccolte da lesene aggettanti. Le pareti conservano tracce di affreschi, purtroppo molto deteriorati, tra cui una crocefissione in posizione sovrastante l’altare: Le caratteristiche delle aureole, realizzate in stucco a rilievo, orienterebbero verso una datazione intorno al XIII secolo, che troverebbe ulteriore conferma nella decorazione a stelle dorate delle lunette soprastanti la zona presbiteriale, nota in ambito piemontese nello stesso periodo. Riattraversando il giardino, che ospita pregevoli essenze, tra cui una spettacolare magnolia, si raggiunge l’ala residenziale, di cui, per motivi di sicurezza, sono rese attualmente visitabili solo alcune sale al piano terreno. Qui la lettura delle planimetrie in nostro possesso ha evidenziato le tracce di un’ulteriore torrione rettangolare, orientato però secondo un asse nord-sud, localizzato a nord, nei pressi dell’attuale ingresso e oggi non più visibile perché inglobato nei diversi ampliamenti. Se ne conserva tuttavia la parte inferiore, identificabile nelle spesse pareti di un grande salone con camino. L’insieme degli ambienti, che conservano in alcuni casi volte a cassettoni, tappezzerie e decori di ispirazione neogotica, testimonia dell’evoluzione della parte residenziale, che oggi conta tre piani fuori terra e un piano sotterraneo con ghiacciaia, avvenuta per aggregazione intorno al corpo della torre settentrionale. Il complesso si dispone intorno ad un cortiletto interno che, nonostante le tracce di innumerevoli rifacimenti e l’aggiunta di una scala esterna, conserva un fascino tipicamente medievale, rafforzato dalla presenza di un pozzo centrale con vera decorata da una scritta in caratteri gotici. La pavimentazione moderna conserva la pendenza originaria verso il centro del cortile, allo scopo di convogliare le acque reflue all’interno del pozzo. Sulla parete occidentale si notano le tracce di una porta, ora tamponata, sormontata da un arco con decorazione in cotto a losanghe, tipica dell’architettura piemontese di XIII-XIV secolo.
Oltre a due dipinti in stile neogotico, raffiguranti S. Giorgio e S. Michele Arcangelo e ispirati a pitture presenti nel castello di Fénis (AO), il cortile conserva un’altra importante traccia del suo colto passato: una lapide dedicata a Honoré De Balzac ricorda il passaggio dello scrittore francese, che qui soggiornò nel 1836, ospite del conte Cesare Benevello, interessantissima figura di intellettuale e mecenate che acquistò il Castello dall’ultimo dei conti Orsini nel 1823. Il Benevello, senatore della Parlamento Subalpino, fu presidente della Società Promotrice delle belle Arti e collaborò con il Gonin alla preparazione della collana di stampe dei castelli piemontesi, di cui fa parte la nota stampa del castello di Rivalta. Legato all’aristocrazia e all’ambiente artistico torinese, ospitò anche Massimo d’Azeglio, che ricorderà Rivalta nelle lettere alla moglie, in alcuni quadri e nel suo libro “I miei ricordi”.
Uscendo nuovamente nel parco attraverso un corridoio con un’elegante pavimentazione in mosaico veneziano, si costeggia la manica occidentale, realizzata in una più recente fase di aggregazione costruttìva e addossata all’interno della cinta muraria medievale. La manica è conclusa sulla sua estremità meridionale dalla cappella settecentesca, che ospitò, tra il 1724 e il 1730, le reliquie di S. Generoso, donate a Giuseppe Maria Orsini da Papa Benedetto XIII in seguito, nel 1823, donate da Giacchino Orsini alla Confraternita di S. Croce nel 1823.
Proseguendo la visita intorno al corpo residenziale, sul retro della manica occidentale, si costeggia l’alto muro di contenimento che delimita la parte inferiore del parco, dove si possono apprezzare alberi secolari, tra cui due grandi sequoie. In prossimità dell’accesso al cortiletto delle scuderie si nota l’attacco delle mura del ricetto, ancora oggi perfettamente leggibile nel tessuto urbano, costruito a protezione del borgo tra XIII e XIV secolo, quando ormai il castello rappresentava il fulcro della vita del paese e il suo riferimento politico e amministrativo era ormai consolidato, nonostante la concessione degli Statuti, avvenuta nel 1297.
La visita si conclude nel cortiletto che ospita gli edifici delle scuderie, che pur rappresentando un elemento di servizio, posseggono una loro grazia tipicamente tardo barocca: realizzate in mattone a vista con modanature e in origine sormontate da fienile a loggiato, sembrano rimandare a più famosi esempi di architettura piemontese di epoca Albertina. Sul cortiletto, di fronte alle scuderie, incombono ancora le mura, che sembrano qui conservare, nella parte inferiore, le tracce di una torre poligonale; altre aggiunte si leggono in un corpo aggettante, che presenta le tracce di un pozzo a caduta o di una latrina. Si ritorna così di fronte all’ingresso, costeggiando nuovamente il fossato e le mura, e ammirando questa struttura imponente, chiusa verso l’esterno, che oggi, finalmente, ci è permesso svelare.